Finalmente abbiamo un campionato equilibrato, con lo scudetto che magari sarà in bilico fino all’ultima giornata. L’equilibrio, l’imprevedibilità, l’adrenalina di una competizione non scritta con mesi d’anticipo, come è accaduto spesso nell’ultimo decennio, può essere il punto di partenza, il mix giusto di sale e pepe per un piatto di buona cucina.
Non basta sicuramente per rilanciare il calcio italiano ma il primo passo è capire perché il campionato è diventato avvincente. Non è merito delle squadre in testa, anzi Milan, Inter e Napoli fotografano il calo di qualità che ha colpito il vertice.
Del resto bastava guardare le partenze del mercato dell’agosto scorso: Lukaku, Hakimi, Eriksen, Conte, Donnarumma e prospetti come Rodrigo De Paul, uno dei giocatori più interessanti che esprimeva la provincia del nostro calcio, che salutava i confini italiani per andare all’Atletico Madrid.
In Europa, eccetto il cammino in Conference League della Roma di Mourinho, una realtà in crescita che può accreditarsi per la prossima stagione, ci accontentiamo ormai della bella figura fatta dall’Inter di Inzaghi contro il Liverpool sia all’andata che al ritorno. Ma che non ha comunque portato a nulla.
Allora il quadro è soltanto nero? No, è doveroso sottolineare i problemi del mondo del pallone, la sciagura sportiva dell’Italia ancora fuori dai Mondiali ha riportato il tema al centro del dibattito ma vogliamo andare oltre i soliti discorsi.
Il calcio italiano attira sempre di più investitori stranieri perché all’estero c’è la convinzione che possiamo solo risalire visto che abbiamo toccato il fondo.
Tra stadi da ammodernare o costruire, i diritti tv e un prodotto da potenziare, i fondi vedono nel nostro Paese un territorio ancora poco esplorato, uno spazio d’opportunità da riempire. Il campionato equilibrato è una speranza anche sotto quest’aspetto, soprattutto perché la competitività del torneo è frutto del calo del vertice e della crescita della base. Non le squadre in lotta per la salvezza ma la media borghesia, che può sostenere una sorta di “rivoluzione francese” del nostro calcio. La Fiorentina ha 23 punti in più di un anno fa, è passata dalla lotta salvezza alle speranze Champions perché, qualora battesse l’Udinese nel recupero, è a -4 dalla Juventus con lo scontro diretto all’ultima giornata.
Il Torino vanta otto punti in più, un capitale che per qualità del gioco espresso doveva essere anche più ricco. Basta considerare i tanti punti persi in pieno recupero dagli uomini di Juric, segno che forse si deve lavorare ancora di più sul piano mentale, piuttosto che sulla tattica.
Con pochi top players nelle squadre di testa, l’identità di gioco e la crescita dei singoli attraverso il lavoro il campionato italiano può ridurre il divario e rendere il torneo più equilibrato e ricco di sorprese. Non ci sono solo la Fiorentina e il Torino ma anche l’ottimo Verona, il Sassuolo che ha attutito il colpo della perdita di De Zerbi, sostituendolo con l’altrettanto interessante Dionisi e a tratti anche il Bologna di Mihajlovic che sa come tuffarsi nei club dell’affascinante media borghesia italiana.
Da dodici anni una squadra italiana non vince una coppa europea, per almeno dodici anni non giocheremo un Mondiale. C’è una certezza: dobbiamo tracciare orizzonti di cambiamento e la media borghesia lo sta facendo, condizionando anche il vissuto del campionato.
Ciro Troise