Volge al termine un Mondiale atipico, giocato d’inverno, con poca preparazione concessa alle squadre, spezzando le stagioni in due tronconi. Siamo partiti con i pregiudizi soprattutto per la ferita della mancanza dell’Italia per la seconda volta consecutiva. Siamo agli ultimi atti di un Mondiale emozionante, con tante partite in bilico, sorprese e favole bellissime come quella del Giappone e soprattutto del Marocco.
I commissari tecnici hanno avuto poco tempo per lavorare, ha fatto, quindi, la differenza la capacità d’intervenire in maniera veloce e di dare equilibrio alle squadre. Equilibrio è la parola-chiave del Mondiale, quando il tempo è poco bisogna stare dentro pochi concetti di gioco, semplici partendo dalla fase di non possesso.
Basta pensare al Marocco che arriva in semifinale contro la Francia subendo un solo gol su autorete, facendo della compattezza in fase di non possesso l’equilibrio di base su cui costruire il capitale propositivo: le ripartenze sulla catena di destra Hakimi-Ziyech con Ounahi ispiratore, la verticalità nella proposta offensiva, anche la forza di prendere possesso della metà campo avversaria come avvenuto in vari frangenti del secondo tempo contro la Francia.
Tite aveva costruito un equilibrio con il suo Brasile attraverso il gioco di posizione di centrocampisti ed esterni bassi che venivano dentro al campo e tenevano così le distanze senza far ripartire gli avversari in maniera pericolosa. Ha pagato nella partita contro la Croazia la mancanza del centravanti e la sfortuna di subire un gol quando sembrava avesse pieno possesso della sfida. Le due finaliste di domenica pomeriggio hanno percorso strade diverse per arrivare all’equilibrio come condizione indispensabile per ispirare le proprie stelle, soprattutto Messi da una parte e Mbappè dall’altra.
Scaloni ha dimostrato perché gli argentini chiamano la propria Nazionale la “Scaloneta”. Ce l’ha in pugno e ha trasformato la sconfitta contro l’Arabia Saudita in una lezione utile soprattutto per se stesso. Ha inserito in pianta stabile Enzo Fernandez, uno dei centrocampisti più forti al mondo, e Julian Alvarez. Ha trasformato il volto di una squadra presuntuosa, con in campo Messi, Di Maria, il Papu Gomez tutti insieme, in un gruppo che ha l’umiltà d’adattarsi all’avversario come dimostra lo schieramento a specchio contro l’Olanda. Una sola stella, la più importante, come Messi a guidare l’Argentina, prendendosi anche il diritto di prendersi delle pause per poi fare le accelerazioni come in occasione del gol del 3-0 contro la Croazia.
Per Deschamps l’uomo dell’equilibrio è Antoine Griezmann che si è trasformato rispetto per esempio a Russia 2018. Da attaccante che fornisce profondità a giocatore che s’abbassa per dare equilibrio, Griezmann è l’uomo-cerniera, va a chiudere tutti i varchi, talvolta anche a ridosso della propria area di rigore. Grazie a Griezmann, la Francia si può permettere centrocampisti che sanno anche buttarsi negli spazi come Rabiot e Tchaoumeni, Mbappè che rinuncia alla fase di non possesso e Dembelè.
Chissà se dal Mondiale per Griezmann all’età di 31 anni nasce una nuova vita anche all’Atletico Madrid o in futuro in altre squadre in cui andrà a giocare.
Ciro Troise