Sarà stata la notevole somiglianza di Maurizio Sarri con Fortunato Cerlino, l’attore che nella serie Gomorra recitava il ruolo di Don Pietro Savastano, ma vedendo Fiorentina-Lazio mi veniva da esclamare: “Maurizio Sarri è turnat”.
Quello vero, in controtendenza rispetto al calcio “mordi e fuggi” dove le partite vengono sputate alla velocità della luce, che si prende i suoi tempi ma costruisce squadre organizzate e belle da vedere. Ci sono due Sarri: quello che è partito dallo Stia nel 1991, in Seconda Categoria, costruito a suon di delusioni, esoneri, raggiungendo poi il sogno di abbandonare il lavoro bancario e dedicarsi alla sua passione. Quello che ha costruito i principi di gioco sui campi polverosi, nella palestra di vita del calcio dilettantistico, la stessa di Alvini, altro toscano di cui si sentirà parlare sempre di più.
Sarri, personaggio un po’ naif, rivoluzionario del pallone, è arrivato in serie A ad Empoli soltanto a 53 anni, grazie ad una delle tante intuizioni del presidente Corsi. Ha dato spettacolo conquistando l’opportunità Napoli, dove ha scritto pagine di storia. “Non ha vinto niente”, dicono gli uomini di libertà ma Napoli è composta soprattutto da uomini d’amore, consapevoli che al di là di tutto le emozioni di tre stagioni magnifiche alloggino nel cuore oltre che nel vissuto di una squadra che in quei tre anni ha sfiorato lo scudetto e reso la qualificazione alla Champions League una bella abitudine.
Quel gruppo è entrato nel cuore dei napoletani come il Napoli di Vinicio e nelle sue proporzioni fa parte della storia della bellezza applicata al calcio, nel solco dell’Olanda degli anni ’70.
La magia di Napoli non si ripeterà, è frutto dell’incrocio tra le aspirazioni di un gruppo di calciatori forti e disponibili, un direttore sportivo illuminato e le idee di Sarri, scelto da De Laurentiis anche quella volta tra le polemiche della piazza e, infatti, il primo Maurizio Sarri si era fermato a Napoli.
A Londra e Torino abbiamo visto una controfigura. Impettito, equilibrato, oscillante tra la sua nuova veste e il populismo come virus che gli appartiene nelle viscere, anche in campo il suo calcio si è piegato al compromesso e ha avuto ragione. Adattandosi agli individualismi di Hazard prima e Cristiano Ronaldo poi, ha vinto un’Europa League e uno scudetto, l’ultimo della Juventus. Chissà se col senno di poi farebbero ancora ironia sull’operato di Sarri?
Trapattoni diceva che la panchina dell’Inter fosse una centrifuga, lo è diventata quella della Juve nell’era post Marotta.
La scorsa stagione è stata di transizione, Sarri ha sofferto tanto il problema del Covid, non si riconosceva a livello emozionale nel calcio a porte chiuse. C’è poi il lavoro, la Lazio del campionato 2021-22 sembrava tutto tranne che una sua squadra. Basta vedere il dato dei gol subiti: 58 soltanto in campionato. Un’enormità per Sarri, che costruisce il suo calcio proprio dall’organizzazione difensiva: linea a quattro armonica e alta, difesa di reparto e partecipazione totale ad entrambe le fasi di gioco di tutta la squadra.
Ho ammirato per ore gli esercizi di Albiol e compagni durante i ritiri di Dimaro, da quel lavoro ossessivo è nato il Napoli che in tre anni è passato dai 54 gol incassati con Benitez (stagione 2014-15) ai 29 del 2017-18, quello dei 91 punti e dello scudetto sfiorato.
La transizione è finita, la Lazio è sua, si nota in campo e fuori. Dopo la sconfitta contro il Napoli, ha accompagnato gli umori più populisti della piazza nel “je accuse” agli arbitri, alludendo anche ad una sorta di ostilità delle “giacchette nere” verso la squadra del presidente Lotito.
In campo la Lazio è uno spettacolo, ha subito solo cinque gol e, quando può andare in scioltezza, regala triangoli che esaltano le qualità di singoli come Milinkovic Savic, Luis Alberto, Immobile, Zaccagni, Felipe Anderson. Non si vince tre volte 4-0 a caso, ora ci sono da combattere due problemi per non fermarsi: cancellare i black-out che sono tornati sul campo del Midtyjlland e riuscire a reggere anche in una stagione anomala come quella in corso il doppio impegno campionato-Europa League.
Maurizio è tornato quello vero, ci piace così nel bene e nel male e ce la può fare.
Ciro Troise