Sono appena finiti i posticipi e ce ne sarebbero da dire di cose sul lungo weekend di campionato.
Preferisco, invece, approfittare di questo spazio per ricordare un ragazzo ed un tifoso.
Sì, era della Roma, ma che differenza fa quando per una casualità fatale ed assurda non potrà più andare allo stadio a cantare, esultare, arrabbiarsi, ridere, piangere?
Francesco Valdiserri passeggiava con i sogni in tasca di un diciottenne ed un’auto con alla guida una ragazza ubriaca, lo ha travolto, portandogli via la vita. Su un marciapiede.
Valla a spiegare una cosa del genere, prova a parlare ora di un match di calcio, a soffrire per tre punti persi, quando quella che si perde è la vita.
In un calcio dove sembra non esistano più valori e regni austero il Dio Denaro, la sua foto ieri sopra la Curva Sud giallorossa ha fatto male e bene al cuore.
Ci ha ricordato che il pallone è un gioco, pazienza se si fanno zero tiri. Sarà per la prossima volta portarsi i tre punti a casa…
La prossima volta, quella chance che tutti inconsciamente pensiamo di potere avere sempre. Mai commettere questo errore. Impariamo.
Uno stadio gremito lo ha capito applaudendo i genitori e la sorella di Francesco presenti, stretti in un bellissimo abbraccio mentre lo speaker raccontava la sua storia.
Un momento, purtroppo, sporcato dai fischi di una sparuta minoranza dei tifosi del Napoli presenti all’Olimpico.
«Francesco era un ragazzo puro. Non l’ho detto io, ma chi ha dato di lui questa definizione è arrivato al centro del cuore di Fra. Le poche volte che ho litigato con lui è perché io facevo il cinico quando lui difendeva sempre i più deboli, a partire dalle squadre di calcio più scarse che partecipavano al Mondiale. Per lui, il Togo poteva tranquillamente vincerli. Prima di Roma-Barcellona, la notte della “remuntada”, il 10 aprile 2018, provò a convincermi che vincere 3-0 non era impossibile. Lui aveva la forza del sogno, io l’avevo perduta da tempo» ha scritto il papà.
«Difendeva le sue idee con totale convinzione, con la tenacia che è solo dei ragazzi. A voi, amici di Fra, dico solo due cose: non perdete mai questa forza e, se bevete un bicchiere di troppo, non guidate. Non vi può salvare al 100%, lo abbiamo imparato nel più crudele dei modi. Se dovesse capitare qualcosa di terribile, però, non vivrete il resto della vita con il rimorso di essere stati voi a provocarlo».
«È stato fatto il possibile per cercare di salvare Francesco e chi ha interagito con me è stato corretto e spesso empatico: i vigili urbani che erano sul posto, i dirigenti di Tor Vergata che ci hanno permesso di dargli l’ultimo saluto in una sistemazione rispettosa del dolore, chi gli ha concesso un posto dove riposare che lui, per gli strani giri della vita, aveva nel suo cuore di piccolo poeta/cantante dark.»
«Cercate Fra nell’aria, cercatelo nella musica, cercatelo dentro di voi nel ricordo che vi ha lasciato. Gli avete voluto bene, vi ha voluto bene. Non si offenderà nessuno se dirò che in cima alla lista del bene ci sono la mia meravigliosa figlia Daria e la mia straordinaria moglie Paola» continua.
La conclusione è una promessa: «Insieme vogliamo tenere vivo il ricordo di Fra. Busserò a tante porte, so che molte sono già aperte e mi aspettano. Ci aspettano. Se anche uno solo tra i ragazzi che ci leggono non si metterà alla guida dopo aver bevuto, allora il nostro dolore sarà un po’ meno inutile. Se chi di dovere metterà in atto le misure possibili per evitare altre tragedie come la sua, allora Fra non sarà morto invano. Francesco non era un cantante, era il pezzo di una band, gli Origami Smiles. Da soli siamo perduti, insieme forse possiamo farcela»
A chi ha fischiato, consiglio di leggere più volte questa lettera ed imparare a tacere, semmai ci sarà una prossima volta, la famosa prossima volta.
A chi ha intonato il coro per coprire un atteggiamento vergognoso, lo giustifico, ma la prossima volta, la famosa prossima volta, sarebbe meraviglioso cantare ancora più forte una di quelle canzoni che tanto amava Francesco, che sia Roma Roma o Mai Sola Mai per sotterrare l’ignoranza con l’AmoR che move il sole e l’altre stelle, ma ancora grazie al Cielo, anche il pallone.
Roberta Pedrelli